Renzi all’attacco della Costituzione
La riforma di Renzi: un attacco alla Costituzione e alle nostre vite.
di Dino Greco
Matteo Renzi vuole, fortissimamente vuole, mettere all’incasso il nuovo sistema elettorale, con il contorno, del tutto organico a quel disegno, della cosiddetta “riforma istituzionale”.
La ragione di questa compulsiva determinazione del premier e segretario del Partito democratico è di per sé molto chiara, ma forse merita tornare brevemente sul tema, a beneficio di quanti ancora accreditano Renzi di meritorie intenzioni e non hanno compreso cosa si nasconda dietro la sbandierata istanza della “governabilità”. La questione è, in realtà, molto semplice: Renzi vuole, per sé e per il suo clan, tutto il potere e persegue a colpi d’ascia l’obiettivo.
L’Italicum, con il premio di maggioranza assicurato alla lista (e non più alla coalizione) che supera il 40 per cento dei voti o che, in caso contrario, si afferma nel ballottaggio successivo fra i due competitors più forti, assegna al vincitore la maggioranza dei seggi in parlamento. Si tratta, come ognuno può vedere, di uno strepitoso “appannaggio” regalato alle forze destinatarie della maggioranza relativa dei suffragi: potrà bastare anche un risultato di poco superiore al 20% per tenere in pugno il parlamento e governare il paese come un padrone governa la sua impresa.
L’altro corno dell’offensiva renziana consiste nel superamento del bicameralismo perfetto attraverso la trasformazione del Senato in un ricettacolo di consiglieri regionali (per giunta non eletti, ma nominati): non, dunque, una camera rappresentativa delle autonomie, ma un carrozzone privo di prerogative, inutile e dispendioso, ove collocare – a mezzo tempo – “famigli” e corifei.
Il combinato disposto fra le due operazioni comporta una stupefacente concentrazione del potere nelle mani del presidente del consiglio e lo slittamento istituzionale del paese verso una repubblica presidenziale.
A giochi fatti, con un potere così ampio e incontrastato, anche la nomina del presidente della Repubblica, della Corte costituzionale, del Consiglio superiore della magistratura diventeranno una “sine cura” del leader. La divisione e l’indipendenza dei poteri, sancita dalla Costituzione repubblicana, viene cancellata con un colpo di spugna; la democrazia rappresentativa si riduce ad una finzione e si invera, in Italia, la profezia che due anni or sono formulava la più importante banca d’affari del mondo, la J.P. Morgan, quando chiedeva ai paesi euromediterranei di liberarsi delle costituzioni di impronta socialista nate dopo la sconfitta dei fascismi e di sgravarsi del sovraccarico di democrazia che ne impedisce lo sviluppo.
Renzi, padrone assoluto del Pd, sta compiendo fra labili contrasti il prodigio di trasformare l’Italia nella sua più profonda radice identitaria: la Repubblica democratica fondata sul lavoro subisce la torsione in Repubblica autoritaria fondata sul capitale e sulla finanza. L’attacco al potere di coalizione dei lavoratori, l’abolizione – tout court – del diritto del lavoro, il prosciugamento del sistema di protezione sociale, l’asservimento del sistema scolastico pubblico all’impresa, la progressiva privatizzazione dei servizi pubblici sociali, trovano così nella nuova “forma politica” del paese il proprio coerente rispecchiamento.
C’è una domanda che ogni persona che ha bisogno di lavorare per vivere dovrebbe porsi: cosa viene alla propria esistenza, da un simile sconquasso? Cosa ne è dei fondamentali diritti di cittadinanza (lavoro, salute, istruzione, assistenza)? Chi si arricchisce a dismisura? Chi si impoverisce senza alcuna possibilità di riscatto? Porsi queste domande, spesso rimosse per rassegnazione, è la precondizione necessaria per comprendere come sia possibile, oltre che necessario, ribellarsi ed agire insieme per contrastare il grigio destino a cui questi manigoldi vogliono inchiodare le nostre vite.