70° anniversario del bombardamento di Festà
«Era domenica e la gente stava uscendo dalla chiesa che venne centrata da quattro bombe… alleate».
Sabato 15 aprile Rifondazione Comunista celebra il 72° anniversario del bombardamento di Festà, Marano sul Panaro, da parte di caccia americani, cioè alleati, a pochi giorni dalla Liberazione.
Alle ore 11 in piazza a Marano interviene Judith Pinnock, segretaria della federazione di Modena di Rifondazione Comunista e a seguire buffet
Il bombardamento
sul Borgo di Festà, in Comune di Marano sul Panaro.
(15 Aprile 1945)
E venne la guerra.
Parola terribile per coloro che già ne avevano subito una e ne portavano ancora le ferite per gli uomini caduti in combattimento, per le mogli che avevano dovuto sobbarcarsi ai lavori più duri in mancanza di mani maschili, per i figli cresciuti senza padre. La follia degli uomini era ricominciata. Non bastavano i nemici delle altre nazioni, anche fra persone della stessa terra avvenne la lotta. Ognuno aveva la sua verità da difendere, ma per il popolo inerme, affamato, fu una immane tragedia. Occupazione nemica, paura dei bombardamenti e della fame, quella vera, poichè mancavano i viveri e quelli al mercato nero costavano troppo. Cinque lunghi anni, anni d’inferno che non passavano mai, finchè all’orizzonte sembrò profilarsi la pace.
Se ne parlava ormai apertamente, era questione di giorni.
IL 15 Aprile 1945 era una domenica, un giorno festivo diverso dagli altri, dato che poteva essere l’ultimo della guerra. La chiesa era gremita. Don Marcello Venturelli, il parroco, stava terminando la celebrazione della Messa. I fedeli, uniti in raccoglimento, pregavano perchè a Dio si rivolgevano come ad un appiglio sicuro, l’unico rimasto in quei dolorosi anni.
Il coro accompagnava col canto la preghiera. Assorti come erano non li sentirono arrivare. Erano quattro cacciabombardieri alleati, cioè americani, con il loro carico di morte*: otto bombe che, sganciate, colpirono l’obiettivo. Il primo ad essere colpito fu il campanile. Un boato tremendo, una scena apocalittica. I fedeli cercarono di scappare per sottrarsi al crollo e alla morte. Chi, uscito dalla chiesa, si buttò a destra verso Casa Rastelli si salvò, chi invece prese per la piazza rimase ucciso.
Trentatre furono i morti, molti feriti. Poi toccò alla chiesa, alla canonica e alle case circostanti. In quel momento, tra urla, lamenti di feriti e scene di panico, il parroco, rimasto miracolosamente illeso, si rese conto che un altro grave pericolo era imminente. Dai cacciabombardieri si prese infatti a sparare con le mitragliatrici. Dando ordini concitati, egli gridò di sdraiarsi a terra per sfuggire ai proiettili.
Quanto Tempo rimasero in quella posizione? Il racconto dei superstiti è a questo punto velato da una nebbia. Troppo grande è il dolore, anche a distanza di cinquant’anni, nel rievocare quei momenti. Il terrore della morte incombente, il raccapriccio per i corpi senza vita, scomposti e maciullati, il lamento dei feriti e una domanda angosciante. Perchè? Perchè proprio quando ormai la guerra era finita?
Allorchè cessarono le mitragliatrici, via di corsa verso il Codicello, per sfuggire a nuove incursioni. E là, a terra, rimasero le vittime. Da Marano, a piedi, il dottor Guerzoni fu il primo a portare soccorso. A Coscogno, impotenti, gli abitanti avevano visto le bombe che cadevano. Poi un silenzio irreale. Tutto era compiuto! Del Borgo di Festà non restavano che macerie e morte. E quando, dopo tre giorni, ovunque si tripudiava per la liberazione avvenuta, qui si piangeva. Ancora una volta questa gente, temprata al dolore, era stata messa in ginocchio. Famiglie semidistrutte, case che non erano più case, la chiesa squarciata. Erano rimasti in piedi l’abside e l’altare maggiore. Quello squarcio era simile a due grandi braccia protese ad accogliere in un forte abbraccio il dolore di tutti. Soltanto la torre millenaria, simbolo della grandezza di Festà, rimasta illesa, sembrava voler dire che il paese era ancora vivo e che dalle macerie avrebbe potuto risorgere.