Come è arrivata la mafia nell’Emilia rossa?

6 Marzo 2015 by

controlacrisi.org intervista il Segretario regionale di Rifondazione Comunista Stefano Lugli dopo l’operazione Aemilia

Quando si parla della penetrazione della mafia al nord si mette poco in evidenza che queste regioni dovevano essere quelle “presidiate” dalle amministrazioni democratiche. Cosa è accaduto in realtà?
È successo che il 27 gennaio 2015 la Direzione Nazionale Antimafia compie l’operazione Aemilia, la più imponente contro la cosche calabresi nel nord Italia, e in Emilia Romagna in particolare, con il suo carico di 117 richieste di custodia cautelare che hanno coinvolto mafiosi, imprenditori, professionisti, politici, giornalisti e persino personale delle forze dell’ordine. È stato svelato un vero e proprio sistema criminale al punto che – usando le parole del Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti – “quella che una volta era orgogliosamente indicata come una Regione costituente modello di sana amministrazione ed invidiata per l’elevato livello medio di vita dei suoi abitanti, può ben definirsi “terra di mafia” nel senso pieno della sua espressione”.

Quanto e come la crisi ha favorito la penetrazione?
La congiuntura economica negativa ha certamente avuto un ruolo nell’aprire alla criminalità nuovi terreni in cui infilarsi, ma dobbiamo considerare che la criminalità organizzata è da molti anni presente e attiva in Emilia Romagna, e proprio per questo ha avuto la capacità di adeguare la sua presenza alle mutevoli condizioni economiche e sociali che il territorio ha espresso. Prima della crisi ha fatto affari entrando in contatto con i settori dell’economia a più facile penetrazione criminale: dall’edilizia, al movimento terra, allo smaltimento dei rifiuti. Poi ha messo le mani nel gioco d’azzardo, nelle bische e nella gestione delle slot machine. A un certo punto è entrata in contatto con le istituzioni, come il caso dell’ex sindaco di Serramazzoni (MO) che riceveva nei suoi uffici un camorrista ci ha messo davanti agli occhi. Con il progredire della crisi economica la criminalità organizzata ha mutato ancora il suo volto e si è concentrata sui nuovi spazi di manovra che offre la difficoltà di accesso al credito per le imprese, e quindi l’usura, le truffe commerciali fino all’infiltrazione criminale nelle aziende. Di fronte a questo tipo di criminalità, che la Direzione Investigativa Antimafia chiama “mafia imprenditrice”, l’Emilia si è trovata impreparata, perché gli anticorpi che pensavamo di avere non hanno retto ad un assalto mafioso compiuto non con coppola e lupara ma con valigette piene di soldi portate da uomini in giacca e cravatta.

L’operazione Aemilia ha al centro la ricostruzione post sisma, com’è stato possibile per la criminalità aver messo le mani sugli appalti della ricostruzione?
È stato possibile perché la criminalità organizzata era già presente e strutturata ben prima del sisma e proprio per questo è arrivata addirittura prima dei soccorsi. Oggi sappiamo che già il 29 maggio 2012 – il giorno della seconda scossa che ha colpito l’Emilia – c’erano mafiosi che facevano il giro delle aziende con i capannoni crollati per verificare le esigenze delle imprese e proporre pacchetti di ricostruzione. Ma non solo, la mafia ha messo le mani prima sullo smaltimento delle macerie, poi sugli appalti milionari per la realizzazione d’urgenza delle nuove opere pubbliche e ora nella ricostruzione privata, che è il bacino oggi più appetibile. Paghiamo l’assenza di una legge quadro sulla ricostruzione nelle calamità naturali e l’assenza di norme e procedure che codifichino gli interventi emergenziali. La consapevolezza che il denaro della ricostruzione facesse gola era presente: per questo la Regione ha introdotto la white list, ma sono serviti mesi per essere rodata e tutt’ora c’è il problema che le risorse per controllare sul campo i cantieri sono del tutto insufficienti. A completare il quadro ci sono state anche inadempienze eclatanti, come il caso del Comune di Finale Emilia (MO) che affida consapevolmente appalti ad una ditta esclusa dalla white list con interdittiva antimafia da parte della Prefettura.

Da quando si parla di penetrazione della criminalità nell’Emilia Romagna?
Nonostante appaia come un fenomeno recente in realtà la prima infiltrazione mafiosa la possiamo collocare negli anni ’60 con l’infausta pratica dei soggiorni obbligati che ha portato al nord, e in Emilia in particolare, mafiosi di primo calibro come Giacomo Riina, Tano Badalamenti e Francesco Schiavone detto Sandokan.
Da allora la fotografia della presenza mafiosa in Emilia è molto cambiata, ed è oggi caratterizzata dai casalesi e dalla rete ’ndranghetista della cosca Grande Aracri smantellata con l’operazione Aemilia.
Le prime indagini significative sul fenomeno mafioso risalgono invece all’inizio degli anni ’90 e nel 2012 Bologna diventa sede distrettuale della Direzione Investigativa Antimafia, un atto con cui si è riconosciuta ufficialmente la presenza di infiltrazioni mafiose in Emilia Romagna e la necessità di contrastarle con tutti i mezzi possibili.

Qual è la denuncia politica di Rifondazione Comunista?
Se la presenza mafiosa in Emilia Romagna è arrivata a questo punto è anche a causa del progressivo indebolimento della politica di fronte all’economia e ai grandi affari e alla rinuncia delle istituzioni pubbliche a svolgere fino in fondo il loro ruolo di garanti del bene comune e di controllo della legalità. Le istituzioni sanno bene che le gare al massimo ribasso e la catena infinita dei sub appalti sono la porta d’ingresso della criminalità organizzata nell’economia legale, eppure questa pratica è sempre più spesso utilizzata, al punto che in Emilia Romagna il 70% degli appalti viene poi dato in sub appalto. Così come è noto che le esternalizzazioni dei servizi pubblici e i conseguenti presunti risparmi di spesa per i Comuni sono spesso pagati da condizioni di lavoro indegne e stipendi da fame. Ed è altrettanto noto che le operazioni immobiliari speculative sovente non sono altro che il modo per ripulire denaro proveniente da attività illecite. Insomma, l’operazione Aemilia non è un fulmine a ciel sereno e sorprende solo chi in questi anni non ha voluto o saputo ascoltare le tante denunce che da più parti segnalavano che l’Emilia stava diventando una “terra di mafia”, come oggi la definisce la Direzione Investigativa Antimafia.

Come sta rispondendo la società civile?
La società civile è stata certamente più sensibile della politica e negli ultimi anni ha tenuto alta l’attenzione mentre la politica non ha dimostrato quella lungimiranza e quella fermezza che invece le si richiede. Diversi sono stati gli allarmi che il territorio ha saputo lanciare e a titolo di esempio ne cito tre. Cinzia Franchini, modenese e presidente nazionale autotrasportatori FITA-CNA denuncia da tempo come la malavita sia entrata nel settore dei trasporti e proprio per questo ha ricevuto minacce di chiaro stampo mafioso ed è stata addirittura attaccata dai vertici nazionali di CNA per la sua netta presa di posizione dopo l’operazione Aemilia. Ci sono poi i ragazzi del giornale studentesco Cortocircuito che a Reggio Emilia tengono laboratori di legalità e per alcune loro inchieste sono stati minacciati. Infine la Cgil, che da tempo ha un osservatorio regionale sulla legalità che è offre un prezioso punto di vista sulle conseguenze sul lavoro dell’economia illegale. A diffondere consapevolezza nei cittadini un contributo importante è arrivato anche da alcuni giornalisti, le cui inchieste hanno contribuito a svelare il sistema criminale. Penso a Gateano Alessi che unisce l’impegno sindacale ad un’attività giornalistica senza compromessi o a Giovanni Tizian che da anni vive sotto scorta per le minacce ricevute dai casalesi.Cosa si può fare di più, che le istituzioni non fanno?

L’Emilia Romagna non parte da zero, questo va detto. La Regione, nella precedente legislatura, ha approvato leggi per il contrasto della criminalità organizzata e del gioco d’azzardo e ha legiferato sugli appalti pubblici e privati in edilizia e logistica. Tutto questo però non è sufficiente, perché occorre da parte di tutto il sistema degli Enti locali un maggior impegno soprattutto nelle verifiche delle gare pubbliche e nei cantieri e l’abbandono immediato negli appalti della pratica del massimo ribasso, come chiede anche la Cgil con la legge di iniziativa popolare sugli appalti che noi sosteniamo.

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