Autonomia differenziata in Emilia-Romagna, il no di Rifondazione Comunista
La richiesta di autonomia allo Stato da parte della Regione Emilia-Romagna per 5 aree strategiche (1. tutela e sicurezza del lavoro, istruzione tecnica e professionale – 2. internazionalizzazione delle imprese, ricerca scientifica e tecnologica, sostegno all’innovazione – 3 territorio e rigenerazione urbana, ambiente e infrastrutture – 4. tutela della salute – 5 coordinamento della finanza pubblica, alla partecipazione alla formazione e all’attuazione del diritto dell’Unione europea) articolate in 15 competenze è destinata a segnare politicamente, e per noi negativamente, l’intera legislatura Bonaccini, ormai alle battute finali.
Materie come lavoro, istruzione e sanità non possono essere scollegate dalla dimensione nazionale in cui sono inserite, pena l’avvio di un processo di progressivo smembramento della omogeneità territoriale che oggi caratterizza l’esigibilità del diritto al lavoro, all’istruzione, alla salute in modo eguale dalla Valle d’Aosta alla Sicilia.
La richiesta di maggiore autonomia avanzata dalla giunta regionale e dall’assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna parte dall’assunto che il livello regionale sarebbe in grado di garantire una migliore gestione delle risorse rispetto al livello centrale. È questo un assunto che caratterizza, pur con differenze di metodo e di merito, le tre proposte di autonomia differenziata che arrivano da Veneto, Lombardia e Emilia-Romagna. Richieste di autonomia che noi chiamiamo “secessione dei ricchi”, e che si basano sul presupposto infondato per cui dove maggiore è la cattiva gestione della spesa maggiore è anche l’entità della spesa pro capite. Un presupposto infondato perché ci troviamo in un contesto in cui la mancata indicazione delle risorse necessarie per garantire a tutti i cittadini in tutte le regioni i Livelli Essenziali di Prestazione è un fattore di disuguaglianza profonda destinato ad essere cristallizzato da progetti di autonomia non solidali.
Se tali progetti di autonomia dovessero andare in porto la legislazione certificherebbe, per la prima volta in Italia, che i diritti di cittadinanza possono essere diversi fra cittadini italiani, ovvero maggiori laddove il reddito pro-capite è più alto e inferiori in contesti più poveri. È questo il filo rosso su cui si sono giocati i referendum “autonomisti” di Veneto e Lombardia e, seppur Bonaccini non lo dice esplicitamente, è lo steso filo rosso che caratterizza sotto traccia la richiesta di autonomia di un Pd Emiliano-Romagnolo che insegue la Lega sul suo stesso terreno dimostrando una subalternità politica sconcertante. Del resto basta leggere le dichiarazioni della Lega dell’Emilia-Romagna per cogliere come il partito di Salvini si intesti il merito della ventata autonomista che ha colpito il Pd di Bonaccini e al tempo stesso ne denuncia la timidezza rispetto ai processi avviati in Veneto e Lombardia. Sarà questo uno dei temi su cui si giocherà la campagna elettorale di autunno per il rinnovo del consiglio regionale dell’Emilia-Romagna e che vedrà le destre cavalcare la promessa di maggiore autonomia rivendicando l’egemonia politica di una scelta da sempre cavallo di battaglia della Lega.
A questi elementi politici si affiancano anche valutazioni sull’ordinamento dello Stato, caratterizzato da istituzioni come le città metropolitane e le provincie che – anche a causa degli effetti nefasti delle riforme renziane – non hanno un quadro preciso delle risorse con cui gestire funzioni importanti per la vita delle comunità, e che sono per altro caratterizzate dall’assenza di una piena legittimità democratica in quanto frutto di elezioni di secondo livello. In questo contesto i comuni rischiano di essere gli enti più penalizzati, stretti tra continui tagli ai trasferimenti, blocco delle assunzioni e riforme istituzionali che accentrano sempre più potere lontano da chi è il soggetto istituzionale più vicino ai cittadini.
Il giudizio di Rifondazione Comunista sull’autonomia differenziata dell’Emilia-Romagna è dunque negativo, anche perché il terreno di scontro che le regioni e i comuni dovrebbero agire nei confronti del governo dovrebbe essere un altro, ovvero quello di rimettere in discussione i vincoli di finanza pubblica che in questi anni di crisi hanno depauperato di risorse i territori e i cittadini in nome di un’austerità che ha incrementato le disuguaglianze e la povertà e favorito privatizzazioni e riduzione dei diritti dei lavoratori e dei cittadini. Al contrario i vincoli di finanza pubblica non sono messi in discussione dalle richieste di autonomia differenziata ma sono anzi rafforzati da un centralismo di carattere regionale che trasforma le Regioni nei guardiani dei tetti di spesa in cambio di un’autonomia economica che mette a repentaglio la solidarietà nazionale.
Infine, troviamo surreale che un presidente regionale come Bonaccini che si è speso per un referendum costituzionale che accentrava funzioni allo Stato oggi proponga una svolta autonomista che contraddice i contenuti del referendum del 4 dicembre 2016.
Stefano Lugli
Segretario regionale Rifondazione Comunista Emilia-Romagna