Sentenza Aemilia condanna sistema, ndranghedista calato in Emilia-Romagna
La sentenza di primo grado del processo Aemilia con 125 condannati e più di 1.200 anni di carcere porta alla sbarra non solo appartenenti o collusi a un unico clan della ‘ndrangheta, ma un vero e proprio sistema ‘ndranghedista calato in Emilia-Romagna che inquinava l’economia e aveva messo le mani sulla ricostruzione post sisma grazie alla complicità di imprenditori, costruttori, professionisti, politici, giornalisti e persino di uomini delle forze dell’ordine.
È questo l’aspetto più inquietante che la sentenza conferma e su cui Rifondazione Comunista vuole sollevare l’attenzione. Perché se la presenza mafiosa in Emilia Romagna è arrivata a questo punto è anche a causa del progressivo indebolimento della politica e delle imprese di fronte ai grandi affari e alla rinuncia delle istituzioni pubbliche a svolgere fino in fondo il loro ruolo di garanti del bene comune e di controllo della legalità.
L’Emilia-Romagna nel 2017 era al terzo posto nazionale per numero di lavoratori irregolari, al quarto per subappalti e somministrazione abusiva o fraudolenta di manodopera, e al quinto per segnalazioni di sospetto riciclaggio. Eppure le istituzioni sanno bene che la catena infinita dei sub appalti sono la porta d’ingresso della criminalità organizzata nell’economia legale. Così come è noto che le esternalizzazioni dei servizi pubblici e i conseguenti presunti risparmi di spesa per i Comuni sono spesso pagati da condizioni di lavoro irregolari e stipendi da fame. Ed è altrettanto noto che le operazioni immobiliari speculative sovente non sono altro che il modo per ripulire denaro proveniente da attività illecite.
Insomma, la sentenza Aemilia non è un fulmine a ciel sereno, ma lo specchio di una economia in cui la presenza della criminalità organizzata è diffusa e sorprende solo chi in questi anni non ha voluto o saputo ascoltare quello che i numeri già ci dicevano.
“Aemilia” è il più grande processo alla ‘ndrangheta che si sia svolto nel nord Italia. Un evento che si può definire storico non solo per l’Emilia-Romagna ma per il Paese intero in quanto conferma che la ‘ndrangheta emiliana è una realtà criminale che ha agito in modo autonomo dalle cosche d’origine. Eppure la sentenza non ha meritato l’attenzione di un commento del solitamente loquace Ministro dell’Interno Matteo Salvini. Un silenzio che stupisce ma non sorprende, visto che politicamente paga di più prendersela con i migranti che con gli ‘ndranghetisti. E questo silenzio è parte del problema, perché la sottovalutazione della presenza della criminalità organizzata nella nostra regione, e più in generale nel nord, è il primo elemento che ne favorisce la diffusione.
Stefano Lugli
Segretario regionale PRC Emilia-Romagna