Dal Chiapas racconto di un viaggio ai confini con l’umanità
La nostra compagna Angela Bellei si trova in Chiapas, e ci invia questo racconto sulla vita della comunità indigena di San Juan Bautista, che si trova a 10 Km dal dal centro di San Cristobal.
Angela Bellei è una storica dirigente di Rifondazione Comunista, è miltante della causa zapatista e componente del Comitato Politico Federale di Modena.
Vi invitiamo a leggere il suo racconto dal Chiapas colpito dal sisma del 7 settembre 2017: Dal Chiapas con paura e fiducia
Il mio amico giornalista Fredy Lòpez Arèvalo (che ho ospitato a Roma per alcuni mesi), giovedì 5 ottobre scorso, mi ha proposto di accompagnarlo in una comunità indigena che dista 10 chilometri dal centro di San Cristobal. Doveva consegnare sacchetti di calce per la costruzione di un piano d’appoggio del forno, ormai terminato, e per proseguire i lavori di una costruzione destinata al turismo solidale.
La comunità è composta da 12 famiglie di etnia tzotzil e lingua maya parlata ne Los Altos del Chiapas. Il piccolo agglomerato si chiama San Juan Bautista e si arrampica a 1300 metri sul livello del mare. Il terreno, coperto di conifere, non offre la possibilità di coltivare ortaggi e mais perchè la terra è sterile. L’energia elettrica è stata portata un anno fa e l’acquedotto non esiste. L’acqua piovana viene raccolta in grandi vasche e utilizzata per ogni necessità. Da pochi mesi è stata aperta una scuola primaria per i bambini del luogo; costruito il portale della chiesa in legno e per le frequenti malattie gastro-intestinali, dovute alla non potabilità dell’acqua, non esiste alcun tipo di assistenza medica.
La comunità, unitamente ad altri 34 villaggi simili (5.000 persone) non è all’interno dell’area geografica e di intervento del movimento zapatista che ha concentrato la sua azione ad Oventic (dove mi recherò settimana prossima). Qui si trova il popolo più povero del Chiapas: scalzi, malnutriti, tutti giovani che non hanno vissuto la rivolta zapatista e che sopravvivono inforcando la bicicletta all’alba per cercare lavoro in città come muratori o falegnami. Le bambine si sposano a 12 anni e iniziano subito a fare figli che rappresentano una risorsa sia come forza lavoro nel bosco a far legna, sia perchè il governo “prospero” ogni mese assegna 1.000 pesos (50 euro) ogni figlio/a.
L’approntamento del forno per cuocere il pane e la casa che dovrebbe accogliere il turismo solidale sono in gestione a 5 giovani volontari provenienti da Argentina, Brasile, Spagna. La terra è assegnata per un terzo ai campesinos, una quota è comunale e il resto degli allevatori che, non potendo occuparla e sfruttarla per l’allevamento del bestiame, l’hanno messa in vendita.
Sono stata invitata nella casa degli unici due anziani della comunità. Mi è stato chiesto subito se mi piaceva la “residenza”. Quattro pareti in legno e per tetto un telo plastificato. All’interno quattro assi per il letto, pavimento di terra umida, al centro un fuoco con sopra una pentola e dei fagioli che si stavano cuocendo e che sono il pranzo e la cena. Alla signora, sorridente e bellissima con le sue mille rughe e neppure un dente, non sapevo che dire. Il marito, già ubriaco, mi ha raccontato di essere stato molto ammalato ma che ha pregato tanto fino a che non è guarito. Nessuna traccia di bagno o gabinetto.
All’esterno della casa 4 giovani stavano abbattendo un portico già praticamente crollato per il marciume delle colonne in legno. Come da consuetudine ho dato loro quanto serve per acquistare una bibita ed ho augurato buon lavoro.
La nuova generazione non ha la cultura della terra (che li non produce nulla) e non ha nessuno stimolo a migliorare la propria condizione precipitando sempre più nell’alcool e nella miseria.
La finalità dei volontari che sono lì è quella, non solo di difendere l’ambiente, ma anche di riscattare e dare dignità, attraverso il lavoro, a giovani persi.
La prossima settimana porteremo delle macine provenienti da Tuztla . Chissà se anche la produzione del pane non diventi una occasione per il risveglio di una generazione e di una comunità che non ha più neppure gli occhi per piangere.
“La caridad es humilliante porque se ejerce verticalmente y desde arriba; la solidariedad es horizontal e implica respeto mutuo”.
Edoardo Galeano